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Perché dovrebbero chiedermi di indossare un’uniforme e andare 10.000 miglia lontano da casa a far cadere bombe e proiettili sulla gente marrone del Vietnam, mentre i cosiddetti negri, a Louisville, sono trattati come cani e gli sono negati i semplici diritti umani? No, non andrò 10.000 miglia lontano da casa a dare una mano a uccidere e distruggere un’altra nazione povera, semplicemente perché continui il dominio degli schiavisti bianchi sulla gente scura di tutto il mondo. Questo è il giorno in cui diavoli di tal fatta devono sparire. Sono stato avvertito: prendere questa posizione mi potrebbe costare milioni di dollari. Ma l’ho detto una volta e lo ripeterò: il vero nemico del mio popolo è qui. Non andrò contro la mia religione, contro il mio popolo o me stesso diventando uno strumento per schiavizzare chi sta lottando per avere giustizia, libertà ed eguaglianza. Se pensassi che la guerra porterà libertà ed eguaglianza a ventidue milioni di miei simili non avrebbero dovuto arruolarmi: lo avrei fatto io, domani. Non perdo nulla restando fermo sulle mie posizioni. Andrò in prigione: e allora? Siamo stati in catene per quattrocento anni».

3 Commenti

  1. Cecilia
    Cecilia 10 Giugno 2016 at 08:59 . Commenta

    Un grande articolo. Una plausibile interpretazione, fondata scientificamente e da me condivisa. Complimenti, davvero, per lo spessore.

  2. christina hammock
    christina hammock 5 Luglio 2016 at 03:13 . Commenta

    “A cosa serve mettere le bombe a Wall Street? Se vuoi cambiare il sistema, cambia il sistema, non serve a niente
    ammazzare la gente. Se vuoi la pace non la otterrai mai con la violenza. Ditemi quale rivoluzione violenta ha funzionato. L’hanno fatto gli irlandesi, i russi, i francesi, i cinesi, e questo dove li ha portati? Da nessuna parte. E’ sempre lo stesso vecchio gioco. Chi guiderà il crollo? Chi prenderà il potere? I peggiori distruttori. Sono sempre loro ad arrivare primi. Quello che ho detto in molte mie canzoni è: cambiate la vostra testa. L’unico sistema per assicurare una pace durevole è cambiare la nostra mentalità: non c’è altro metodoI fini non giustificano i mezzi. Dobbiamo imparare dai metodi utilizzati da Gandhi e da Martin Luther King. La gente ha già il potere; tutto quello che noi dobbiamo fare è prenderne coscienza. Alla fine accadrà, deve accadere. Potrebbe essere adesso o fra cento anni, ma accadrà. Credo che gli anni sessanta siano stati un grande decennio. Sono stati la gioventù che si è riunita e ha detto: crediamo in Dio, crediamo nella speranza e nella verità, ed eccoci tutti insieme in pace. I giovani hanno speranze perché sperano nel futuro e se sono depressi per il loro futuro allora siamo nei guai. Noi dobbiamo tenere viva la speranza tenendola viva fra i giovani. Io ho grandi speranze per il futuro”.

    (John Lennon)

    1. Giovanni Pacini
      Giovanni Pacini 6 Novembre 2016 at 18:51 . Commenta

      La nonviolenza come privazione. A 68 anni dalla morte di Gandhi. E’ strano, in parte, che a 68 anni dalla sua morte Gandhi non abbia goduto di particolari celebrazioni, visto il suo indubbio carisma e il ruolo giocato per una delle potenze mondiali emergenti. D’altronde vari aspetti lo rendono un personaggio atipico e a suo modo estremo nel panorama politico. La grande coerenza tra agire politico e convinzioni ideali, con una forte aspirazione religiosa, la critica della modernità occidentale, l’opposizione al sistema delle caste o- motivo scatenante della sua uccisione- la strenua opposizione ai massacri tra indú e musulmani restano per lo meno indigeste alla politica in crisi. Poco aggiungono intenti strumentali di recupero della sua figura da parte di apologeti del bellicismo democratico o di una certa sinistra, che sostiene le occupazioni militari e predica il gandhismo ai popoli (ma non agli Stati). Invece tante persone, impegnate in questi anni contro le guerre e il terrorismo, hanno cercato sinceramente in Gandhi un punto di riferimento costante e una qualche alternativa alla presunta liberazione per via politico-militare e ai suoi orrori. E’ utile quindi entrare nel merito della concezione gandhiana della nonviolenza. La critica a Gandhi non verte sui risultati immediati della nonviolenza.
      Né si tratta solo di denunciare aberrazioni (coerenti con la visione gandhiana), quali, di fronte allo sterminio nazista, il chiedere agli ebrei di “offrire volontariamente il collo del carnefice”, e ai popoli europei di non combattere. Gandhi difatti metteva sullo stesso piano la volenza come capacità di ogni essere umano e a volte necessaria, ancorché da contenere, misura di autodifesa, da un lato, e la violenza concentrata e potenzialmente genocida degli Stati, dall’altro. Né basta ricordare che Gandhi si batteva per ottenere uno Stato indipendente, con le sue immancabili istituzioni della violenza, quali polizia, esercito e carceri. La nonviolenza ganhiana è fallace in primo luogo rispetto all’umano, perché è essenzialmente una logica di rinuncia e privazione. Gandhi non a caso esalta la castità, come pietra angolare della nonviolenza, e demonizza la comunicazione sessuale, come inevitabile foriera di violenza. Non è una denuncia della diffusa violenza del sesso maschilista, ma è un ritenerla naturalmente legata al piacere e al desiderio mentre le migliori qualità femminili sarebbero, a suo modo di vedere, la passività e la debolezza del desiderio. Il piacere sessuale è intrinsicamente male, il desiderio spinge al male e implica necessariamente violenza, per questo bisogna rinunciare a entrambi e nelle comunità fondate da Gandhi la proibizione delle relazioni sessuali era una delle regole fondamentali. L’intento di superare la violenza risulta così minato in partenza, contrapposto a una tensione così forte e insopprimibile per ogni donna e uomo, ancorché molto differentemente vissuta tra i generi e pesantemente negata o deturpata dalla logica patriarcale, quale quella alla comunicazione sessuale e alla possibilità del piacere condiviso e della conoscenza di
      sé e reciproca attraverso l’assieme delle proprie fisicità, sensorialità, facoltà e coscienza. La possibilità di contenere e tendere a superare costantemente il risorgere di spinte violente, mentre si lotta implacabilmente contro la violenza dei poteri oppressivi, è cosa quindi diversa dalla nonviolenza. Ha bisogno dell’affermarsi cosciente delle migliori caratteristiche umane, in primo luogo incarnate dal genere femminile, delle nostre potenzialità benefiche, non della loro mortificazione.

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