L’elemosina che pure fu predicata dai santi e che in India e’ indice di umilta’, predicata e attuata da nobilissimi spiritualisti, genera la repulsione da parte dell’umanita’ occidentale, tecnologica e calvinista, qualificandola come trasgressione, fuga individuale dalla maledizione comune del lavoro. Eppure questuare richiede camminare, ottenere rifiuti e secchi d’acqua in testa (come capita a Pinocchio col vecchietto traditore), vivere in mezzo alla strada, al freddo, al gelo, al sole. Anche elemosinare dunque e’ fatica e rischio (soprattutto connesso alle malattie derivate dall’esposizione agli elementi e dalla stessa indigenza somatica). Pinocchio rileva che, secondo la morale del padre, l’elemosina viene chiesta solo da “vecchi” e “infermi”. Ancora luoghi comuni. Come se ognuno di noi, privato di se, non fosse vecchio nel corpo e infermo nello spirito. Forse che non siamo tutti dei virtuali elemosinieri? Non questuiamo forse, giorno dopo giorno, a destra e a manca briciole della nsotra umanita’?
L’elemosina chiesta da Pinocchio ha una funzione metafisica. Egli si ribella al suo destino di somaro, e non vuole tirare la carretta come il carbonaio, ricevendo da costui invece di cibo gratuito una risposta metaforica e insulsa:”mangi pure due belle fettw della sua superbia e stia attento a non fare indigestione”. Siamo nello “sciocchezzaio universale” ovvero “nell’Empireo sempiterno dei luoghi comuni”. Per paradosso l’elemosina si e’ rovesciata nel suo opposto, l’orgoglio, ovvero il primo dei vizi capitali. Un graziosissimo ghiribizzo del non sense etico.
LA TRUFFA, IL FURTO, LA RAPINA, L’IMPRESA ILLECITA.
Anche il rubare o imbrogliare e’ fatica, abilita’, progetto, sia pure criminale. Viene ribadita universalmente l’intelligenza del progetto di certi abili truffatori, anche se si recrimina che sia indirizzata a fin di male. D’altro canto l’imbroglio puo’ falllire, il furto idem. Allora c’e’ la prigione o la pistolettata che si prende chi e’ sorpreso a rubare ad esempio. Pinocchio che vuole ghermire ciocche d0uva moscatella morso dalla fame rimane con la gamba attanagliata in una tagliola posta in un campo per beccare grosse faine. Il grande Mercurio, ammirato messaggero degli dei e divinita’ della mente abile, assurge a protettore dei ladri e dei truffatori. Alla scaltrezza unisce il pie’ veloce, pronto a scappare ai gendarmi quanto venga colto in flagranza di reato. Il Gatto e la Volpe sono i cattivi per antonomasia, non solo in quanto grassatori ladri e truffaldini imprenditori della locupletatio sine titulo. In essi s’identificano gli antichi commercianti nomadi, gli ebrei usurai medievali e i trafficoni rinascimentali, le multinazionali dell’investimento, moloc dell’imbroglio legalizzato, i trick delle pubblicita’ e delle lotterie massmediali. La propaganda e’ l’anima del commercio. E la propaganda delle aprole, da qualunque imbonitore pronunciate, per vendere prodotti, aspirapolveri, ovvero seminagioni di dentifrici nel campo dei miracoli.
Comprare, comprare, comprare e’ lo slogasn messo in voga dai perenni trafficanti del trick con la sanzione che ove non si ripeta il diktat “si da’ un calcio alla fortuna”. La punizione non e’ piu’ grigiosociale, ma gialloludica. Atraverso il gioco si ha la non vincita e la non fortuna “attuata con le proprie stesse mani” . “Enti umanitari” organizzano il gioco in tutte le sue forme, secondo la lezione di Huizinga, nel politico, nelle guerre, nella giustizia, masse di giochi socilai fatti passare per seriosi assoluti. L’arte somma degli imbonitori sociali e’ ancora teatro, il travestimento. Il Gatto e la Volpe si travestono da Assassini (ancora il “come se”), altri gatti e altre volpi si travestono da sacerdoti, da giudici, da persone rispettabili. I ladri, le puttane, gli assasini sono i nostri cristi, afferma Vivekananda, poiche’ grazie a loro possiamo dire di essere persone per bene. Alla fine lo Stato stesso si paluda di panni chiari e si autoleggittima nei suoi infiniti omicidi di morti per la produzione dei beni e per la circolazione dei veicoli. Le stragi tecnologiche, avallate sotteraneamente dalla comunita’ e appioppate fittizziamente ai singoli in una populista responsabilita’ per colpa, e’ “come se tutti non ci fossero”. L’importante e’ che tutti (o almeno la maggioranza schiacciante) siano d’accordo.
IL LAVORO
Pinocchio vive in un ambiente di poveracci, dove il lavoro non basta per il riscatto economico e sociale, al fine, quanto meno, di uno star decente e dell’avere il minimo indispensabile per vivere e per nutrirsi. La nuova presa d’atto e’ che finanche il lavoro alienato e’ fatica e rischio. Non e’ detto che ci lavora, il cosiddetto onesto riesca a trarsi via dall’indigenza. Il che in una morale molto profonda potrebbe essere immorale, ingiustizia di un’intero sistema, ponendosi il “tu devi” kantiano porsi in primis a carico della persona in grande che e’ lo Stato, in assistenza sociale e aiuto per i piu’ bisognosi. L’isola su cui arriva Pinocchio trasgredisce il luogo comune dell’isola come rifugio dai mali del mondo ovvero di ritorno bucolico alla natura. Anche le oasi dell’uomo possono essere menzogna, poiche’ in esse trovi i penitenziari, i cannibali, i malfattori, Pinocchi arriva sull’isola dei dannati, sperando che la’ “si possa mangiare sanza il rischio di esser mangiati”, ma vi trova un’altra forma di antropofagia: quella degli imprenditori che succhiano la migliore energia della razza umana per far girare, al di la’ dell’anima, la ruota sociale. L’isola e’ la civilta’ del lavoro stressante, che schiaccia il singolo e la creativita’. Quell’isola e’ l’inferno di San Brandano che scorge fabbri demoni arroventare le anime e le energie dei condannati ridotti in schiere di produttori meccanici. L’isola e’ la scuola del dolore-fatica, la’ dove faticare per sostenersi per alimentare solo le fibre del proprio essere, significa avere rispetto. Li’ i vagabondi non lavoratori dello spirito sono emarginati, ostracizzati. Di fronte alla fame totale, nell’abisso del nulla di materia da ingurgitare, la’ si che riemerge la presunta universalita’ della morale kantiana. “Tu devi”,,,mangiare e allora in te si rigenera il progetto di un’utilita’ del vivere sociale, del lavoro alienante svolto al puro fine di nutrirsi. Il sociale, assassinando la tua creeativita’ con la fame del corpo, ti alimenta come bestia del branco, mascherando con infingimenti verbali e propagande similreligione il diabolico lavoro fatto diventare contra res “nobile”. La verita’ e’ che il lavoro routine nobilita l’uomo trasformandolo in bestia da soma. Nobilita come un ricordo. Il lavoro in francese si dice travail, ovvero “travaglio”. Rammentando la bestia da traino del sociale che ciascuno di noi e’ dentro di se’.
IL GABBA-MONDO. DALLA MORALE ALL’ONTOLOGIA.
Nel nulla della fame l’essere si sublima e si riscatta. O meglio medita un progetto di riscatto “Io sono piu’ buono di tutti e dico sempre la verita’”. Dire la verita’ e’ essere buonissimi. Ma qual’e’ la verita’? L’esistenziale concreto s’imbatte nella scelta in un doppio di ciascun animo vissuto, creando una ramificazione all’infinito di bivi, dove, patafisicamente, tutto e’ uguale al tutto. Nel labirinto rizosomatico non vi e’ centro, ne’ periferia, in uno spazio articolato senza fili, senza maggiore o minore, senza alto ne’ basso. In quel Chaos basta poi afferrare i due corni del piu’ immediato dilemma per verificare gia’ in essi l’assurdita’ di un’opzione finale razionale, una tantum, della bipartizione amletica. La conclusione dell’indovinello ontologico manca poiche’ la verita’ e’ menzogna e la menzogna e’ verita’. Allora forse l’illuminazione e’ quest’estrema consapevolezza. Mantenere in tensione perenne la fluttuazione tra l’essere e il non essere e giammai tentare di scioglierla, nell’assoluto ma solo nel relativo. Nell’assoluto tutto si sospende. Ne’ movimento ne’ stasi, ma solo sospensione (Epoche’) di ogni giudizio. In Pinocchio tutti, a partire da lui stesso, sono alle prese con la menzogna non solo i cattivi totali (il Gatto e la Volpe) ma anche i mezzobusti della cattiveria o della bonta’ (massmediale coincidentia oppositorum a sfondo etico). Cosi’ quel vecchietto invocato di pane, che in genere come stereotipo dell’anziano debole dovrebbe essere anche buono, finge poi di dare cibo e invece gli versa sulla testa un’intera catinella d’acqua. Finanche il buonissimo Geppetto mente quando afferma, in uno sforzo di autoconvinzione, che ha venduto la “zimarra perche’ faceva caldo”. La retorica umana e’ il regno della finzione, cosi’ come lo sono la metafora, l’allegoria, la santa parabola, i proverbi popolari. Si tratta solo di una serie di accurate finzioni, che hanno senso solo attraverso la reticenza che qualcosa sull’altra parte
di un possibile che sfugge e che se affermato infrangerebbe anche l’asserzione principale. Alla fine nulla sfugge a prova di falsificazione, attuata con uno spirito cosciente e profondo. Così’e’ allora la verita’ se non un “come se “. Agire, pensare, amare come se….Il “come se” di Vaihininger si pone come guscio vuoto in cui interno e’ possibile mettere qualunque molle sostanza, la quale saraì accuratamente protetta dalla scorza compatta esterna scambiata come un assoluto. Abile nascondimento di una morbida e fragile materia impastata di menzogna. E’ pur vero peraltro che l’inganno sotto forma di autoconvinzione puo’ essere usato come metodo di purgazione dagli affanni . Cosi’ Geppetto non e’ povero, ma fa il Povero. Volendolo potrebbe prospettarsi, cambiando atteggiamento mentale attraverso una bella parabola, come ricco.. Una menzogna non puo’ essere machiavellicamente rivolta ai fini pratici e sociali come quelle escogitate da Pinocchio. Per uscire dal Policlinico Chaos, dov’e’ stato condotto dopo la rapina e il tentato suicidio, egli inventa l’escamotage verbale dello “star meglio” pur di liberarsi da quei posti dove uno se non e’ malato lo diventa e per rimettersi alfine alla ricerca del padre perduto. Altrove inscena la finta di accondiscendente a far da talpa per permettere ai malviventi un furto nella banca. Cosi’ salva la pelle e li fa arrestare, gridando al mondo il suo rifiuto a “star di balla e di reggere il sacco alla gente disonesta !”. Una bugia bianca, dunque, o meglio una bugia non deprecata dalla societa’, poiche’ con essa il singolo o il gruppo, difende se stesso o tende a raggiungere il fine utile. Nella guerra il maestro d’inganni Ulisse inventa la fandonia del cavallo di Troia e con essa salva la vita di altre migliaia d’umani e pone fine alla guerra. Questa filosofia dell’imbroglio proficuo, gia’ teorizzata in sede bellica dal filosofo-militare cinese Sun Tzu (IV sec. a.C.) trova poi espressione anche in sede religiosa. Nel Vangelo la parabola del fattore disonesto legittima l’uso del mendacio da parte del debole per difendersi dal piu’ forte.
Machiavelli imperat, ergo, a tutti i livelli. Ma chi definisce, a livello d’etica comune, cio’ che e’ lecito e cio’ che non lo e’ ? Solo una convinzione, la metafora del “come se” normalizzata dalla Legge della Maggioranza che col “cratos”, la forza (e non certo per una ratio intrinseca o naturale), impone la sua potenza nel gruppo. La reazione dei minoritari rispetto ai potenti portavoci del costume pubblicio, mancando loro la Forza, e’ ancora affidata all’Imbroglio, attuato con travestimenti, incantamenti verbali e artifizi raggiranti. Nella socialita’ tra l’essere e l’avere, prevale alla fine l’apparire. Altra forma di menzogna-verita’. La gente vale per la pelle sociale, per il suo habitus usuale. Il sarto si rovina gli occhi per costruire quell’abito che generera’ il monaco. Ma sotto il saio, alzandolo, non si trova nulla. Il compratore del somaro-pinocchio lo getta in acqua con una pietra al collo, per ammazzarlo e poi scuoiarlo della pelle dura. Quando lo ritira sopra ritrova il burattino di legno e sscandalizza. L’uomo che ha rivelato la sua meccanicita’ sempre impreca. Senza sapere che in quella rivelazione vi e’ una rinascita verso il transumano.
IL TEATRO, TRICK AL QUADRATO E CATARSI.
Pinocchio che non vuole andare a scuola si lascia poi attrarre dal Teatro. Il Teatro e’ scuola. “TEatro degli EDipici” o dei Mangiafuoco o dei Mangiafreud, poco importa. La scena e’ la palestra della nobile menzogna. Se la vita e’ in primis imbroglio inconscio, il teatro e’ la menzogna della menzogna. Il quadrato della menzogna genera catarsi con il riemergere del Chaos primigenio dello stesso Imbroglio Cosmico rappresentato dal Microcosmo del Proscenio. Edipo e’ il Re del Rivelamento. Scopre un trick galattico ordito contro di lui da un Fato, sito in uno Sfero anche oltre gli dei, per cui si trova ad aver commesso inconsapevolmente parricidio (sgozzamento del padre Laio) e incesto (per aver sposato la madre Giocasta). Da qualche parte si e’ ordita quella tra contro i valori della famiglia, per rappresentare a livello metafisico la distruzione della funzione generatrice maschile e l’avvilimento di quella femminile, nella trasgressione sociale di tutti i ruoli. Anche Pinocchio ha sgozzato moralmente Geppetto, reo questi stesso di aver nintificato in nuce la capacita’ generativa della madre. Pinocchio e’ il ri-costruttore del cerchio ordinario della procreazione, essendo teso a recuperare la funzione della Gran Madre Mediterranea rappresentata dalla Fata Turchina, azzurra come il grande mare che circonda le nostre terre. Il nostro eroe da un lato e’ pronto as ammazzare anche il padre, e sul lettino di Mangiafreud maledice la sua genesi meccanica dichiarandosi pronto a seppellire sotto le foglie marce del bosco la chiave meccanica, il martello, la piallla, i pezzi di legno, ritrovati sul fondo del suo inconscio, D’altro canto Mangiafreud gl’insegna che la Ma’ (la madre) e’ un sogno, che nasce dal fuoco interiore, la fiamma paracelsiana dell’immaginazione. L’oro alchemico di Pinocchio dopo la nigredo maschilista, si tinge di polvere di proiezione al femminile. Alla fine pero’ nel cuore dell’odissea burattina in lui s’identificano gli attori-umani. In un rifrangersi di specchi all’infinito, nella legnosita’ della marionetta si rivela la forma degli stessi umani, tutti ridotti ad ammassi meccanici, a larve pseudoviventi. Lo specchio risolve l’imbroglio del teatro, rivelando l’imbroglio della vita. Cosi’ la triade si compie:trick.theater-life. “Pinocchio e’ il nostro fratello di legno”. E’ l’ultimo passo, dopo essere entrati nella profondita’ di un’esplorazione psicanalitica, cominciata a livello di conflitto emozionale con le forze genetiche. La patafisica interiore e’ oltre Freud. Freud rappresenta la rigenerazione del padre, che sempre muore e sempre rinasce come la salamandra nel fuoco o come il grillo parlante, ed entra in maniera maschile nell’inconsciofemmina rivelandone l’inferno del sesso-tabu’. Il Pupazzo e’ pronto per essere dato al rogo, poiche’ egli e’ eretico. Ha rivelato l’ombroglio teatro-vita, ha dissacrato l’unitarieta’ traslitterano i sensi paralleli di un vero che e’ falso in una dimensione superiore di samadhi, dove tutto e’ vero ovvero dov’e’ vero tutto il contrario di Tutto. Lo Psychodramma interruptus genera la sospensione (Epoche’) di tutti i giudizi, la fine della fede e della regione, il Rivelamento. Il descensus ad inferos innterruptus si pone in parallelo con il Coitus Interruptus ovvero l’aborto di un seme trasformato nel mostro stesso, apparentemente legnoso ma in pratica affasciamenyo di infinite virtualit’ che va distrutto.
I BRICCONI DIVINI E IL TRIONFO DEL GIOCO.
Se l’isola e’ il luogo dei dannati robota, il Paese dei Balocchi e’ il regno della gioia di vivere, della goliardia, dei clerici vagantes, e Lucignolo ne e’ il degno profeta. Egli e’ il Marcuse di Collodi che annuncia al mondo l’era di una privazione dalla fatica alienante e la liberazione finale della reificazione, ovvero dal vero legno, quello della spiritualita’ dura, compatta, anchilosata. “Dire che il lavoro debba essere fatto perche’ il lavoro e’ veramente il colmo dell’alienazione! (Marcuse). Lucignolo e’ Marcuse ma e’ anche prima e oltre Marcuse. Annunciando che la cosiddetta “fatica nobile” riduce gli uomini in bestie, egli propone la soluzione finale del Paese dell’Immaginario Puro, la’ dov’e’ la festa sette giorni su sette. Ripercorre cosi’ il sentiero lucido del Briccone Divino Wakdjunkaga, il mitico Trickster degli Indiani Winnebago eroe di mille avventure, ondeggiante tra la goliardia fallica, il picaresco e il truffaldino. Il gioco di Marcuse, capobanda-filosofo del ’68, e’ ancora politico, noia del progetto cosmico che tutti unifica finanche nella Legge del Gioco, Questa norma e’ il Circo, che irregimenta le energie libere, usa la frusta per far rispettare una delle tante regole del ludico, e azzoppa l’energia libera e dionisiaca di un atleta del ludico come Pinocchio. L’altra faccia di Lucignolo e’ Stirner rivestito dei panni del Pulcinella, l’essere singolo preso da gioia panica con cui riscatta il misfatto della supremazia immonda della Kultur sulla Natur. Il monellaccio, il cui nome in calembour si trasforma in Lu-Singolo, diventa alla fine emblema della gioventu’ giocosa. Negli slogan analfabeti dei ragazzacci vi e’ la joy de vivre marinettiana, l’attonitaderubricazione dell’iperletterario operata dai surrealisti, la dissacrazione verbale petroliniana in frasi tipo: “Abaso le schole”, “Viva i balocci”, “Abbasso Larin Metica”, “Ho comprato i salamini e me ne vanto…”
Nella babele linguistica si verifica l’Eden del Gioco in se’ infinito, senza regole, rispetto di un Chaos universale giammai sparito ne’ tantomeno domo. E’ l’elogio dell’Asineria, della razionalita’ allo sbando. Lucio (ancora in calembour Lucignolo) di Apluleio, ridotto ad asino per una fattura sbagliata, ne passa di tutti i colori, finche’ all’esito finale della sua iniziazione somaresca, su placet di Iside ruba rose al sacerdote della dea e se la mangia .Ecco allora il miracolo: il ciuco spellacchiato si cangia in nobile principe dei miracoli ludici. Ma allora se la via degli dei passa attraverso il ponte degli asini, viva le orecchie da somaro ! Viva, nella rivelazione dell’analfabetismo del dio Buffone, il raglio del buricco infernale ! Viva nel ludico la trasgressione per cui, tolta la pelle del somaro, si ritrova il burattino e poi…l’oro di una bestia squaccosa e rilucente. In estrema analisi le vere “cattive amicizie ” di Pinocchio sono gli altri, tutti gli altri che nelle mediocrita’ dilagante dei luoghi comuni, sottopongono i ribelli pur geniali e vitali allo scherno che poi compattamente si fa prassi, norma, vituperio legalizzato del diverso. L’inquisizione Cosmica dell’ordinarieta’ grida indomita “Al rogo i burattini coscienti!”
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IL TERZO OCCHIO DEL BURATTINO PINOCCHIO.
NEUROSPASTOS OCULUS PUNDAX.
L’ELEMOSINA.
L’elemosina che pure fu predicata dai santi e che in India e’ indice di umilta’, predicata e attuata da nobilissimi spiritualisti, genera la repulsione da parte dell’umanita’ occidentale, tecnologica e calvinista, qualificandola come trasgressione, fuga individuale dalla maledizione comune del lavoro. Eppure questuare richiede camminare, ottenere rifiuti e secchi d’acqua in testa (come capita a Pinocchio col vecchietto traditore), vivere in mezzo alla strada, al freddo, al gelo, al sole. Anche elemosinare dunque e’ fatica e rischio (soprattutto connesso alle malattie derivate dall’esposizione agli elementi e dalla stessa indigenza somatica). Pinocchio rileva che, secondo la morale del padre, l’elemosina viene chiesta solo da “vecchi” e “infermi”. Ancora luoghi comuni. Come se ognuno di noi, privato di se, non fosse vecchio nel corpo e infermo nello spirito. Forse che non siamo tutti dei virtuali elemosinieri? Non questuiamo forse, giorno dopo giorno, a destra e a manca briciole della nsotra umanita’?
L’elemosina chiesta da Pinocchio ha una funzione metafisica. Egli si ribella al suo destino di somaro, e non vuole tirare la carretta come il carbonaio, ricevendo da costui invece di cibo gratuito una risposta metaforica e insulsa:”mangi pure due belle fettw della sua superbia e stia attento a non fare indigestione”. Siamo nello “sciocchezzaio universale” ovvero “nell’Empireo sempiterno dei luoghi comuni”. Per paradosso l’elemosina si e’ rovesciata nel suo opposto, l’orgoglio, ovvero il primo dei vizi capitali. Un graziosissimo ghiribizzo del non sense etico.
LA TRUFFA, IL FURTO, LA RAPINA, L’IMPRESA ILLECITA.
Anche il rubare o imbrogliare e’ fatica, abilita’, progetto, sia pure criminale. Viene ribadita universalmente l’intelligenza del progetto di certi abili truffatori, anche se si recrimina che sia indirizzata a fin di male. D’altro canto l’imbroglio puo’ falllire, il furto idem. Allora c’e’ la prigione o la pistolettata che si prende chi e’ sorpreso a rubare ad esempio. Pinocchio che vuole ghermire ciocche d0uva moscatella morso dalla fame rimane con la gamba attanagliata in una tagliola posta in un campo per beccare grosse faine. Il grande Mercurio, ammirato messaggero degli dei e divinita’ della mente abile, assurge a protettore dei ladri e dei truffatori. Alla scaltrezza unisce il pie’ veloce, pronto a scappare ai gendarmi quanto venga colto in flagranza di reato. Il Gatto e la Volpe sono i cattivi per antonomasia, non solo in quanto grassatori ladri e truffaldini imprenditori della locupletatio sine titulo. In essi s’identificano gli antichi commercianti nomadi, gli ebrei usurai medievali e i trafficoni rinascimentali, le multinazionali dell’investimento, moloc dell’imbroglio legalizzato, i trick delle pubblicita’ e delle lotterie massmediali. La propaganda e’ l’anima del commercio. E la propaganda delle aprole, da qualunque imbonitore pronunciate, per vendere prodotti, aspirapolveri, ovvero seminagioni di dentifrici nel campo dei miracoli.
Comprare, comprare, comprare e’ lo slogasn messo in voga dai perenni trafficanti del trick con la sanzione che ove non si ripeta il diktat “si da’ un calcio alla fortuna”. La punizione non e’ piu’ grigiosociale, ma gialloludica. Atraverso il gioco si ha la non vincita e la non fortuna “attuata con le proprie stesse mani” . “Enti umanitari” organizzano il gioco in tutte le sue forme, secondo la lezione di Huizinga, nel politico, nelle guerre, nella giustizia, masse di giochi socilai fatti passare per seriosi assoluti. L’arte somma degli imbonitori sociali e’ ancora teatro, il travestimento. Il Gatto e la Volpe si travestono da Assassini (ancora il “come se”), altri gatti e altre volpi si travestono da sacerdoti, da giudici, da persone rispettabili. I ladri, le puttane, gli assasini sono i nostri cristi, afferma Vivekananda, poiche’ grazie a loro possiamo dire di essere persone per bene. Alla fine lo Stato stesso si paluda di panni chiari e si autoleggittima nei suoi infiniti omicidi di morti per la produzione dei beni e per la circolazione dei veicoli. Le stragi tecnologiche, avallate sotteraneamente dalla comunita’ e appioppate fittizziamente ai singoli in una populista responsabilita’ per colpa, e’ “come se tutti non ci fossero”. L’importante e’ che tutti (o almeno la maggioranza schiacciante) siano d’accordo.
IL LAVORO
Pinocchio vive in un ambiente di poveracci, dove il lavoro non basta per il riscatto economico e sociale, al fine, quanto meno, di uno star decente e dell’avere il minimo indispensabile per vivere e per nutrirsi. La nuova presa d’atto e’ che finanche il lavoro alienato e’ fatica e rischio. Non e’ detto che ci lavora, il cosiddetto onesto riesca a trarsi via dall’indigenza. Il che in una morale molto profonda potrebbe essere immorale, ingiustizia di un’intero sistema, ponendosi il “tu devi” kantiano porsi in primis a carico della persona in grande che e’ lo Stato, in assistenza sociale e aiuto per i piu’ bisognosi. L’isola su cui arriva Pinocchio trasgredisce il luogo comune dell’isola come rifugio dai mali del mondo ovvero di ritorno bucolico alla natura. Anche le oasi dell’uomo possono essere menzogna, poiche’ in esse trovi i penitenziari, i cannibali, i malfattori, Pinocchi arriva sull’isola dei dannati, sperando che la’ “si possa mangiare sanza il rischio di esser mangiati”, ma vi trova un’altra forma di antropofagia: quella degli imprenditori che succhiano la migliore energia della razza umana per far girare, al di la’ dell’anima, la ruota sociale. L’isola e’ la civilta’ del lavoro stressante, che schiaccia il singolo e la creativita’. Quell’isola e’ l’inferno di San Brandano che scorge fabbri demoni arroventare le anime e le energie dei condannati ridotti in schiere di produttori meccanici. L’isola e’ la scuola del dolore-fatica, la’ dove faticare per sostenersi per alimentare solo le fibre del proprio essere, significa avere rispetto. Li’ i vagabondi non lavoratori dello spirito sono emarginati, ostracizzati. Di fronte alla fame totale, nell’abisso del nulla di materia da ingurgitare, la’ si che riemerge la presunta universalita’ della morale kantiana. “Tu devi”,,,mangiare e allora in te si rigenera il progetto di un’utilita’ del vivere sociale, del lavoro alienante svolto al puro fine di nutrirsi. Il sociale, assassinando la tua creeativita’ con la fame del corpo, ti alimenta come bestia del branco, mascherando con infingimenti verbali e propagande similreligione il diabolico lavoro fatto diventare contra res “nobile”. La verita’ e’ che il lavoro routine nobilita l’uomo trasformandolo in bestia da soma. Nobilita come un ricordo. Il lavoro in francese si dice travail, ovvero “travaglio”. Rammentando la bestia da traino del sociale che ciascuno di noi e’ dentro di se’.
IL GABBA-MONDO. DALLA MORALE ALL’ONTOLOGIA.
Nel nulla della fame l’essere si sublima e si riscatta. O meglio medita un progetto di riscatto “Io sono piu’ buono di tutti e dico sempre la verita’”. Dire la verita’ e’ essere buonissimi. Ma qual’e’ la verita’? L’esistenziale concreto s’imbatte nella scelta in un doppio di ciascun animo vissuto, creando una ramificazione all’infinito di bivi, dove, patafisicamente, tutto e’ uguale al tutto. Nel labirinto rizosomatico non vi e’ centro, ne’ periferia, in uno spazio articolato senza fili, senza maggiore o minore, senza alto ne’ basso. In quel Chaos basta poi afferrare i due corni del piu’ immediato dilemma per verificare gia’ in essi l’assurdita’ di un’opzione finale razionale, una tantum, della bipartizione amletica. La conclusione dell’indovinello ontologico manca poiche’ la verita’ e’ menzogna e la menzogna e’ verita’. Allora forse l’illuminazione e’ quest’estrema consapevolezza. Mantenere in tensione perenne la fluttuazione tra l’essere e il non essere e giammai tentare di scioglierla, nell’assoluto ma solo nel relativo. Nell’assoluto tutto si sospende. Ne’ movimento ne’ stasi, ma solo sospensione (Epoche’) di ogni giudizio. In Pinocchio tutti, a partire da lui stesso, sono alle prese con la menzogna non solo i cattivi totali (il Gatto e la Volpe) ma anche i mezzobusti della cattiveria o della bonta’ (massmediale coincidentia oppositorum a sfondo etico). Cosi’ quel vecchietto invocato di pane, che in genere come stereotipo dell’anziano debole dovrebbe essere anche buono, finge poi di dare cibo e invece gli versa sulla testa un’intera catinella d’acqua. Finanche il buonissimo Geppetto mente quando afferma, in uno sforzo di autoconvinzione, che ha venduto la “zimarra perche’ faceva caldo”. La retorica umana e’ il regno della finzione, cosi’ come lo sono la metafora, l’allegoria, la santa parabola, i proverbi popolari. Si tratta solo di una serie di accurate finzioni, che hanno senso solo attraverso la reticenza che qualcosa sull’altra parte
di un possibile che sfugge e che se affermato infrangerebbe anche l’asserzione principale. Alla fine nulla sfugge a prova di falsificazione, attuata con uno spirito cosciente e profondo. Così’e’ allora la verita’ se non un “come se “. Agire, pensare, amare come se….Il “come se” di Vaihininger si pone come guscio vuoto in cui interno e’ possibile mettere qualunque molle sostanza, la quale saraì accuratamente protetta dalla scorza compatta esterna scambiata come un assoluto. Abile nascondimento di una morbida e fragile materia impastata di menzogna. E’ pur vero peraltro che l’inganno sotto forma di autoconvinzione puo’ essere usato come metodo di purgazione dagli affanni . Cosi’ Geppetto non e’ povero, ma fa il Povero. Volendolo potrebbe prospettarsi, cambiando atteggiamento mentale attraverso una bella parabola, come ricco.. Una menzogna non puo’ essere machiavellicamente rivolta ai fini pratici e sociali come quelle escogitate da Pinocchio. Per uscire dal Policlinico Chaos, dov’e’ stato condotto dopo la rapina e il tentato suicidio, egli inventa l’escamotage verbale dello “star meglio” pur di liberarsi da quei posti dove uno se non e’ malato lo diventa e per rimettersi alfine alla ricerca del padre perduto. Altrove inscena la finta di accondiscendente a far da talpa per permettere ai malviventi un furto nella banca. Cosi’ salva la pelle e li fa arrestare, gridando al mondo il suo rifiuto a “star di balla e di reggere il sacco alla gente disonesta !”. Una bugia bianca, dunque, o meglio una bugia non deprecata dalla societa’, poiche’ con essa il singolo o il gruppo, difende se stesso o tende a raggiungere il fine utile. Nella guerra il maestro d’inganni Ulisse inventa la fandonia del cavallo di Troia e con essa salva la vita di altre migliaia d’umani e pone fine alla guerra. Questa filosofia dell’imbroglio proficuo, gia’ teorizzata in sede bellica dal filosofo-militare cinese Sun Tzu (IV sec. a.C.) trova poi espressione anche in sede religiosa. Nel Vangelo la parabola del fattore disonesto legittima l’uso del mendacio da parte del debole per difendersi dal piu’ forte.
Machiavelli imperat, ergo, a tutti i livelli. Ma chi definisce, a livello d’etica comune, cio’ che e’ lecito e cio’ che non lo e’ ? Solo una convinzione, la metafora del “come se” normalizzata dalla Legge della Maggioranza che col “cratos”, la forza (e non certo per una ratio intrinseca o naturale), impone la sua potenza nel gruppo. La reazione dei minoritari rispetto ai potenti portavoci del costume pubblicio, mancando loro la Forza, e’ ancora affidata all’Imbroglio, attuato con travestimenti, incantamenti verbali e artifizi raggiranti. Nella socialita’ tra l’essere e l’avere, prevale alla fine l’apparire. Altra forma di menzogna-verita’. La gente vale per la pelle sociale, per il suo habitus usuale. Il sarto si rovina gli occhi per costruire quell’abito che generera’ il monaco. Ma sotto il saio, alzandolo, non si trova nulla. Il compratore del somaro-pinocchio lo getta in acqua con una pietra al collo, per ammazzarlo e poi scuoiarlo della pelle dura. Quando lo ritira sopra ritrova il burattino di legno e sscandalizza. L’uomo che ha rivelato la sua meccanicita’ sempre impreca. Senza sapere che in quella rivelazione vi e’ una rinascita verso il transumano.
IL TEATRO, TRICK AL QUADRATO E CATARSI.
Pinocchio che non vuole andare a scuola si lascia poi attrarre dal Teatro. Il Teatro e’ scuola. “TEatro degli EDipici” o dei Mangiafuoco o dei Mangiafreud, poco importa. La scena e’ la palestra della nobile menzogna. Se la vita e’ in primis imbroglio inconscio, il teatro e’ la menzogna della menzogna. Il quadrato della menzogna genera catarsi con il riemergere del Chaos primigenio dello stesso Imbroglio Cosmico rappresentato dal Microcosmo del Proscenio. Edipo e’ il Re del Rivelamento. Scopre un trick galattico ordito contro di lui da un Fato, sito in uno Sfero anche oltre gli dei, per cui si trova ad aver commesso inconsapevolmente parricidio (sgozzamento del padre Laio) e incesto (per aver sposato la madre Giocasta). Da qualche parte si e’ ordita quella tra contro i valori della famiglia, per rappresentare a livello metafisico la distruzione della funzione generatrice maschile e l’avvilimento di quella femminile, nella trasgressione sociale di tutti i ruoli. Anche Pinocchio ha sgozzato moralmente Geppetto, reo questi stesso di aver nintificato in nuce la capacita’ generativa della madre. Pinocchio e’ il ri-costruttore del cerchio ordinario della procreazione, essendo teso a recuperare la funzione della Gran Madre Mediterranea rappresentata dalla Fata Turchina, azzurra come il grande mare che circonda le nostre terre. Il nostro eroe da un lato e’ pronto as ammazzare anche il padre, e sul lettino di Mangiafreud maledice la sua genesi meccanica dichiarandosi pronto a seppellire sotto le foglie marce del bosco la chiave meccanica, il martello, la piallla, i pezzi di legno, ritrovati sul fondo del suo inconscio, D’altro canto Mangiafreud gl’insegna che la Ma’ (la madre) e’ un sogno, che nasce dal fuoco interiore, la fiamma paracelsiana dell’immaginazione. L’oro alchemico di Pinocchio dopo la nigredo maschilista, si tinge di polvere di proiezione al femminile. Alla fine pero’ nel cuore dell’odissea burattina in lui s’identificano gli attori-umani. In un rifrangersi di specchi all’infinito, nella legnosita’ della marionetta si rivela la forma degli stessi umani, tutti ridotti ad ammassi meccanici, a larve pseudoviventi. Lo specchio risolve l’imbroglio del teatro, rivelando l’imbroglio della vita. Cosi’ la triade si compie:trick.theater-life. “Pinocchio e’ il nostro fratello di legno”. E’ l’ultimo passo, dopo essere entrati nella profondita’ di un’esplorazione psicanalitica, cominciata a livello di conflitto emozionale con le forze genetiche. La patafisica interiore e’ oltre Freud. Freud rappresenta la rigenerazione del padre, che sempre muore e sempre rinasce come la salamandra nel fuoco o come il grillo parlante, ed entra in maniera maschile nell’inconsciofemmina rivelandone l’inferno del sesso-tabu’. Il Pupazzo e’ pronto per essere dato al rogo, poiche’ egli e’ eretico. Ha rivelato l’ombroglio teatro-vita, ha dissacrato l’unitarieta’ traslitterano i sensi paralleli di un vero che e’ falso in una dimensione superiore di samadhi, dove tutto e’ vero ovvero dov’e’ vero tutto il contrario di Tutto. Lo Psychodramma interruptus genera la sospensione (Epoche’) di tutti i giudizi, la fine della fede e della regione, il Rivelamento. Il descensus ad inferos innterruptus si pone in parallelo con il Coitus Interruptus ovvero l’aborto di un seme trasformato nel mostro stesso, apparentemente legnoso ma in pratica affasciamenyo di infinite virtualit’ che va distrutto.
I BRICCONI DIVINI E IL TRIONFO DEL GIOCO.
Se l’isola e’ il luogo dei dannati robota, il Paese dei Balocchi e’ il regno della gioia di vivere, della goliardia, dei clerici vagantes, e Lucignolo ne e’ il degno profeta. Egli e’ il Marcuse di Collodi che annuncia al mondo l’era di una privazione dalla fatica alienante e la liberazione finale della reificazione, ovvero dal vero legno, quello della spiritualita’ dura, compatta, anchilosata. “Dire che il lavoro debba essere fatto perche’ il lavoro e’ veramente il colmo dell’alienazione! (Marcuse). Lucignolo e’ Marcuse ma e’ anche prima e oltre Marcuse. Annunciando che la cosiddetta “fatica nobile” riduce gli uomini in bestie, egli propone la soluzione finale del Paese dell’Immaginario Puro, la’ dov’e’ la festa sette giorni su sette. Ripercorre cosi’ il sentiero lucido del Briccone Divino Wakdjunkaga, il mitico Trickster degli Indiani Winnebago eroe di mille avventure, ondeggiante tra la goliardia fallica, il picaresco e il truffaldino. Il gioco di Marcuse, capobanda-filosofo del ’68, e’ ancora politico, noia del progetto cosmico che tutti unifica finanche nella Legge del Gioco, Questa norma e’ il Circo, che irregimenta le energie libere, usa la frusta per far rispettare una delle tante regole del ludico, e azzoppa l’energia libera e dionisiaca di un atleta del ludico come Pinocchio. L’altra faccia di Lucignolo e’ Stirner rivestito dei panni del Pulcinella, l’essere singolo preso da gioia panica con cui riscatta il misfatto della supremazia immonda della Kultur sulla Natur. Il monellaccio, il cui nome in calembour si trasforma in Lu-Singolo, diventa alla fine emblema della gioventu’ giocosa. Negli slogan analfabeti dei ragazzacci vi e’ la joy de vivre marinettiana, l’attonitaderubricazione dell’iperletterario operata dai surrealisti, la dissacrazione verbale petroliniana in frasi tipo: “Abaso le schole”, “Viva i balocci”, “Abbasso Larin Metica”, “Ho comprato i salamini e me ne vanto…”
Nella babele linguistica si verifica l’Eden del Gioco in se’ infinito, senza regole, rispetto di un Chaos universale giammai sparito ne’ tantomeno domo. E’ l’elogio dell’Asineria, della razionalita’ allo sbando. Lucio (ancora in calembour Lucignolo) di Apluleio, ridotto ad asino per una fattura sbagliata, ne passa di tutti i colori, finche’ all’esito finale della sua iniziazione somaresca, su placet di Iside ruba rose al sacerdote della dea e se la mangia .Ecco allora il miracolo: il ciuco spellacchiato si cangia in nobile principe dei miracoli ludici. Ma allora se la via degli dei passa attraverso il ponte degli asini, viva le orecchie da somaro ! Viva, nella rivelazione dell’analfabetismo del dio Buffone, il raglio del buricco infernale ! Viva nel ludico la trasgressione per cui, tolta la pelle del somaro, si ritrova il burattino e poi…l’oro di una bestia squaccosa e rilucente. In estrema analisi le vere “cattive amicizie ” di Pinocchio sono gli altri, tutti gli altri che nelle mediocrita’ dilagante dei luoghi comuni, sottopongono i ribelli pur geniali e vitali allo scherno che poi compattamente si fa prassi, norma, vituperio legalizzato del diverso. L’inquisizione Cosmica dell’ordinarieta’ grida indomita “Al rogo i burattini coscienti!”
Gennaro Francione
V.i.t.r.i.o.l. et in arcadia ego
Però!!! tra deliri e altro spunta decisamente qualcosa di interessante. Chi è costui?
http://www.antiarte.it/adramelekteatro/
https://it.wikipedia.org/wiki/Gennaro_Francione